venerdì 7 marzo 2014

Considerazioni sulla crisi di Crimea

Come sempre é la cronaca ad incalzare l'analisi e la pianificazione. L'incipit di questo momento riflessivo nasce dalla consapevolezza del fatto che il quotidiano sia vero e forse unico motore del cambiamento e dell'innovazione. Quanto sta accadendo in Crimea nelle ultime ore ha ravvivato un dibattito ritenuto ormai sopito o peggio ancora anacronistico circa l'opportunità o meno di dotare gli Stati degli strumenti idonei a fronteggiare una minaccia certa e simmetrica. In verità nessun organo di informazione riporta tale dibattito, tuttavia tra le nebbie dei comunicati rilanciati nelle sedi diplomatiche e non si può decifrare la sempre maggiore volontà di tutelare i rispettivi interessi attraverso la minaccia o la concreta possibilità di un utilizzo della forza militare. I fatti internazionali dell'ora contemporanea pare risveglino esigenze e volontà sempre vive di nazioni come la Russia, in realtà un minimo di memoria ci mostra come già gli eventi occorsi in Georgia nel 2008 e la conseguente 'querelle' su Ossezia e Abkazia suscitarono le medesime reazioni, peraltro già all'epoca la dimensione conflittuale ed il relativo accumulo di tensione poterono ricondursi in parte al solito progetto USA di "scudo antimissile" da schierare in Polonia (oppure in una Ucraina opportunamente ricondotta sotto controllo occidentale). Sembra fuori dal mondo questo continuo tira e molla, soprattutto a quasi trent'anni dalla fine della contrapposizione est-ovest, in realtà è proprio la volontà statunitense di garantirsi la chance del "primo colpo" contro l'unico competitore nucleare ancora credibile, a generare con cadenza periodica crisi similari tra loro perché accomunate dal medesimo fine e quindi dagli stessi obiettivi. Scenari da nuova guerra fredda si potrebbe ipotizzare, niente affatto, più probabilmente scarsa lungimiranza ed approssimazione nella gestione delle relazioni internazionali. Il crollo del gigante sovietico fu troppo repentino per essere indolore nei termini della stabilità globale, ne' si può ritenere che una intera classe dirigente abbia rinunciato a dinamiche politiche radicate nei secoli. Le briciole date dall'occidente alla Russia eltsiniana non sarebbero mai state in grado di placare la fame atavica di un popolo che si trova nello Stato con maggior estensione territoriale al mondo, peraltro seduto su uno dei maggiori giacimenti di gas naturale oggigiorno noto, a ciò va aggiunta una cognizione di potenza globale frustrata che da sempre attanaglia la classe dirigente russa schiacciata tra oriente e occidente. Queste righe potrebbero apparire una forzatura apologetica, in realtà, per quanto fino ad ora argomentato, la forzatura maggiore sembra quella compiuta da alcune cancellerie europee e dai soliti Stati Uniti. Pesanti errori di comunicazione si stanno consumando negli ultimi giorni, soprattutto nei confronti di Putin, dipinto come un dittatore privo di contatto con la realtà, individuo ambiguo diviso tra nazismo e stalinismo spinto, insomma é stata fatta una scelta chiara superare l'approccio diplomatico e forzare le regole del diritto internazionale. Tale scelta potrà apparire pagante nell'immediato, soprattutto nei confronti di un' opinione pubblica ignorante e narcotizzata, come quella occidentale, tuttavia produrrà i suoi effetti negativi nel medio e nel lungo periodo, cioè quando la verità storica emergerà in tutta la sua meschina dimensione. Le risposte della storia non potranno sottacere gli interessi di Varsavia nel recuperare i territori ucraini occidentali a maggioranza polacca, così da risolvere due problemi: piazzare i lanciatori USA fuori dal proprio territorio metropolitano e creare un cuscinetto efficace contro i russi, garantito dalla NATO. Nemmeno la Germania (locomotiva economica d'Europa?) potrà, all'esame della storia, negare di aver bisogno degli operai ucraini, avendo spremuto fino all'ultima goccia di sangue quelli di mezza europa, nonché del mercato vastissimo di Kiev economia emergente a cui sottrarre speranze ed ambizioni in nome di una austerità prossima futura. Per quanto attiene in fine gli USA nulla di nuovo all'orizzonte, dileggiano e spiano l'Europa, temono ancora, o forse sarebbe meglio dire nuovamente, la Russia e per questo intendono relegarla a potenza regionale asiatica, magari da sfruttare a piacimento per tenere impegnato il "drago" cinese in nome di vecchi rancori garantendosi così libertà di manovra per se in un Pacifico ancora tutto da sfruttare. In tutto questo cosa c'entra la Crimea? Per l'occidente é una penisola che un po' porta male, a rileggere la storia migliaia di morti hanno insanguinato quel lembo di terra, quanto ai russi é il mezzo per scoprire le carte di una partita giocata ipocritamente con Washington per il controllo dell'Europa in un rigurgito di Geopolitik e volontà di potenza, fantasmi di un passato che ritorna, ma che questo mondo ipnotizzato nega avviluppato com'è in un sistema caratterizzato da un nichilismo capace di narcotizzare prima gli animi e poi le menti.

giovedì 12 dicembre 2013

La componente blindo-corazzata merita un futuro.

La componente blindo-corazzate dello strumento militare nazionale, dal lontano ottobre del 1989, ha avviato un percorso di alterne fortune, connesso alla migliore o peggiore congiuntura economica del momento in un susseguirsi di entusiasmo e smobilitazione; tale sinusoide discende dal fatto che: concezione, sviluppo ed impiego dello strumento pesante, inteso come combinazione di componente umana e meccanica, integrate in procedure e tattiche di impiego ha avuto la sventura di doversi continuamente confrontare con esigenze di mercato, politiche industriali e risvolti mediatici. Il carro armato del terzo millennio, secondo una vulgata sempre più diffusa, per sopravvivere dovrà essere economicamente e socialmente sostenibile o non potrà essere, quanto alla misura di tale sostenibilità verrà valutata in termini di costi di produzione, misurazione degli effetti sull’ambiente circostante, efficacia bellica e basso impatto sulla popolazione civile coinvolta nelle azioni militari. Probabilmente fu più facile per Guderian sintetizzare in una dottrina di impiego efficace ed efficientista le prestazioni e le capacità dei carri L - M - P nel periodo tra le due guerre mondiali ponendo le basi per quella che poi sarà la definizione del concetto di Carro Principale da Battaglia1 Andando oltre le boutade e volendo entrare nel merito della presente analisi si può partire dall’assunto per il quale le unità blindo - corazzate sono ancora oggi in condizione di fornire un supporto efficace alle operazioni militari terrestri contribuendo in maniera significativa al raggiungimento del successo. Una storia fatta di evoluzione e adattamento Al fine di chiarire quanto finora esposto è opportuno un breve excursus storico volto ad esemplificare come, la componente pesante delle forze militari terrestri, sia stata concepita, nel tempo, quale risorsa e sintesi di tecnologia ed efficacia, purtroppo spesso limitata dal contraltare della scarsità di risorse e dai notevoli oneri in termini di mantenimento e sostegno logistico diretto e indiretto. Durante la fase finale del Primo Conflitto Mondiale, il Comando Supremo italiano, sulla scorta delle esperienze inglesi e francesi occorse nelle campagne del fronte occidentale, ritenne fosse opportuno sperimentare i carri Shnider ed F17 Renault nel complesso scenario carsico. Caporetto prima e la Vittoria poi sospesero temporaneamente l’evoluzione in termini di acquisizione e dottrina, tuttavia i risultati ottenuti in fase sperimentale vennero reputati più che buoni, anche se accompagnati da quello che nel futuro sarà il consueto contraltare, di cui si è già parzialmente trattato, connesso con la questione dei costi e della sostenibilità. Fu proprio il Maggiore d’artiglieria Conte Alfredo Bennicelli, inviato del Comando Supremo in Francia, nonché mentore circa l’acquisizione dei mezzi e della dottrina corazzata francese il primo ad evidenziare nella propria relazione la criticità connessa ai costi di tale tecnologia2. A guerra finita tuttavia, il buon andamento delle prove pratiche svolte sul Carso fece sì che sperimentazione ed acquisizione avessero la meglio sulle ritrosie connesse agli oneri da sostenere, pertanto vennero fondati i reparti corazzati e le conseguenti dottrine di impiego. Queste nuove unità seppero adattarsi egregiamente agli scenari di riferimento dei decenni successivi quali la campagna d’Africa Orientale, di Spagna ed il Secondo Conflitto Mondiale, in un susseguirsi di esperienze ed evoluzione connesse con le lezioni apprese dalla condotta bellica. Nei contesti bellici si registrò la crescita dello strumento pesante in termini dottrinali e di impiego, a ciò si aggiunsero adeguamenti tecnici e procedurali per i quali le unità corazzate, prima della grande battaglia di El Alamein videro un significativo cambiamento in termini di impiego da semplice elemento di rottura e supporto alla manovra a vera e propria unità di manovra. Sebbene la sconfitta bellica abbia per certi aspetti frenato i processi di cambiamento e miglioramento in ambito nazionale, ciò non avvenne per altri Stati che ebbero modo di continuare a vivere l’efficacia dei cingoli nelle condotta delle operazioni. Corea e Vietnam, le guerre Arabo - Israeliane e la rincorsa tecnologica e dottrinale tra le due potenze continentali di USA e URSS, furono per tutta la seconda metà del novecento un ambiente estremamente fertile per lo sviluppo di nuove soluzioni tecnico - tattiche ed apprendimento in materia; quanto all’Italia, si inserì in modo dottrinalmente e tecnicamente aderente ai dettami dell’Alleanza Atlantica, a cui aveva aderito fin dal 1949, secondo un modello di sviluppo standardizzato ed integrato. La linea di demarcazione tra il passato eroico ed il pragmatismo tecnico del presente, nell’ottica di una rivitalizzazione in senso dinamico e non più di mero confronto in termini di peso specifico della componente blindo - corazzata, ci fu con il verificarsi della prima crisi del golfo nel 1990. Il primo grande scontro bellico convenzionale dopo la Seconda Guerra Mondiale mostrò come l’esercito americano attraverso una componente corazzata, efficiente e ben impiegata sia stato in condizione di imprimere all’avversario perdite nell’ordine del 70% delle unità obiettivo, ciò non fu ovviamente frutto della casualità o di un confronto impari, ma della capacità di impiegare in maniera attagliata la componente corazzata allo scenario di riferimento sfruttando integralmente ed efficacemente le caratteristiche della formula tattica3. A conclusione di tale breve analisi resta evidente che negli anni gli elementi cardine della componente corazzata siano stati la grande adattabilità ai vari scenari, la loro oggettiva evoluzione nel tempo ed un notevole onere in termini di acquisizione del mezzo, addestramento del personale e mantenimento della componente. I quattro pilastri concettuali. Le numerose operazioni di CRO sviluppatesi a seguito del superamento della guerra fredda e ristrutturatesi in termini di impiego e livello della conflittualità, dopo l’11 settembre del 2001, hanno portato un gran numero di esperti a ritenere che minacce asimmetriche ed ibride possano far ritenere superata la componente corazzata quale elemento risolutore o anche solo di supporto, dotato di una qualche efficacia. Non avere nessuna forza contrapposta in maniera simmetrica oppure al di la di una cortina è stato un segnale forte al quale si è data una risposta altrettanto decisa anche in termini simbolici procedendo a smantellare o ridurre drasticamente alcuni assetti reputati non più necessari all’esigenza contingente ed anche in parte alle prospettiva future. In risposta a tali scelte è intervenuto, ancora una volta implacabilmente il terreno, con il quale ogni soldato è costretto a fare i conti. Nello specifico l’esperienza ha mostrato, qualora ve ne fosse stato ancora bisogno, una estrema adattabilità degli assetti pesanti e delle unità ad essi connesse, tanto che, seppure sia anacronistico pensare all’impiego di un complesso minore corazzato omogeneo, resta validissimo l’impiego di unità miste con configurazioni più snella, ma in termini di protezione e mobilità nettamente più pronta ed efficace di quanto esprimibili da componenti leggere, soprattutto se teniamo conto della necessità di operare in aree scarsamente abitate e distanti da basi operative 4. Unità dotate di cingoli con una protezione adeguata per l’equipaggio e per l’intero dispositivo ed una potenza di fuoco in grado di eliminare la minaccia rapidamente ed efficacemente fanno sì che il sistema blindo - corazzato possa essere con gli opportuni adattamenti ancora una volta protagonista. In questa breve analisi si è usato il termine sistema poiché la componente pesante per sua stessa natura esiste in quanto sintesi di uomo - dottrina - addestramento e mezzo. Proprio il sistema di cui si è appena enunciato consente a tale componente delle forze terrestri di adattarsi ed evolversi continuamente in modo efficace talvolta riscoprendo alcune capacità e in taluni casi creandone di nuove, si pensi solo al fatto che nella seconda crisi del golfo 2001, gli americani, che in un primo tempo ritennero lo strumento corazzato inadeguato, al fine di affrontare gli scontri asimmetrici tipici del post- conflict e successivamente dovettero ricredersi valorizzando e sfruttando le capacità di protezione, deterrenza e concorso all’attività di sicurezza dei dispositivi, intrinseche dello strumento blindo - corazzato. L’intero ragionamento fino ad ora esposto non ha tenuto conto degli aspetti finanziari e sociali, valutati in termini di impatto sull’opinione pubblica, con i quali una componente così specifica deve necessariamente confrontarsi, è certo che sostenere un sistema complesso come quello composto da uomo - dottrina - addestramento e mezzo sia oneroso poiché necessita di gestire ben quattro componenti, ma tale onere trova ampia giustificazione nell’efficacia dello strumento, infatti una analisi dei costi non può dirsi efficace se questi non vengono messi a sistema con la bontà degli effetti che si possono ottenere a seguito dello sforzo prodotto per sostenerli. Raffronti e valutazioni Nel comune sentire, condiviso ormai anche da analisti interni alla difesa, scopriamo come la panacea a tutti i mali per un corretto rapporto onere efficacia sia il mezzo VTLM lince, “geneticamente” accettabile poiché ruotato, non eccessivamente lungo e nemmeno troppo alto, dotato di una cellula di sopravvivenza tale da garantire la protezione dell’equipaggio a seguito di eventi IED ed in grado di essere equipaggiato con un armamento tale da fornire supporto di fuoco e protezione. A fronte di quanto descritto l’esperienza operativa ha però dimostrato come la protezione del mezzo, per essere all’altezza delle situazioni tattiche debba talvolta essere incrementata al pari dei sistemi d’arma di bordo, senza contare la necessità di doversi utilizzare più di un veicolo per il trasporto delle unità di livello squadra in maniera organica, insomma per avere un prodotto veramente efficace occorre trasformare questo ottimo veicolo multiruolo in un piccolo “carro armato”, snaturando così il VTLM delle proprie caratteristiche ed impedendo alla componente blindo - corazzata di evolversi, rischiando, nel medio periodo di assistere al depauperamento delle capacità blindo - corazzate. In un ragionamento ampio questo confronto tra mezzi di differente tipologia non è finalizzato a preferirne uno in luogo di un altro, ma solo a cercare di rendere immediatamente comprensibile quanto fino ad ora esposto e cioè che la componente pesante è elemento necessario di una forza terrestre in quanto consente di assolvere ad una serie di missioni che difficilmente possono essere condotte in altro modo senza che ci si esponga a rischi eccessivi o che si vada ad inficiare il successo. Conclusioni Lo strumento militare terrestre verso cui auspicare dovrà essere caratterizzato da un adeguato livello di tecnologia, elevata credibilità in termini di preparazione, motivazione ed impiego del personale, nonché dalla sostenibilità, tale affermazione trova nella componente blindo - corazzata piena sintesi, definito ciò, attraverso opportuni adattamenti che vedono primo tra tutti la qualità del sistema in luogo della quantità del mezzo la componente pesante potrà dirsi ancora protagonista delle sfide del futuro.

martedì 11 giugno 2013

Shoulder by shoulder

E’ sempre difficile fare un consuntivo, soprattutto quando la sintesi è riferita ad un periodo intenso di lavoro e di vita. Sì le operazioni fuori dal territorio nazionale sono proprio questo, periodi di grande impegno professionale, ma nel contempo pezzi di vita in cui tutto, giorno per giorno, appare uguale, ma in realtà chi vi partecipa cambia profondamente se stesso. L’esperienza occorsa in Afghanistan, nell’ambito del contingente MATII ha visto amplificata la condizione di militare in operazione fuori dal territorio della Patria per le sue peculiarità essenzialmente differenti dalla altre attività operative. Shoulder by shoulder il lavoro con i partners dell’ANA (Afghan Nationale Army) vive una fase che è ormai andata oltre l’addestramento per confluire nell’Advising, un concetto che trova una traduzione complessa in lingua italiana, ma la cui comprensione è stata fondamentale affinché il lavoro svolto nel paese centro asiatico potesse essere proficuo ed efficacia. Quanto riportato in queste poche righe è l’esperienza dello scrivente al servizio del contingente MAT II presso la FOB ANA di Camp Sayar, nella località di Kafir Quala, a pochi kilometri dall’abitato di Farah, grande centro urbano, capoluogo della omonima provincia e posto quale crocevia tra l’Iran e la provincia afghana dell’Elmand. All’interno di una ampia base, sede della II Brigata ANA, vi era una porzione di compound circondato da hescobastions e concertina in cui gli advisors di Esercito e Marina provvedevano alla condotta di attività finalizzate a portare i partners afghani verso la totale autonomia in termini di concezione, pianificazione e condotta delle attività operative. Gli advisors, suddvisi per team hanno operato accanto agli staff del comando Brigata e di tre Kandak (unità di livello battaglione n.d.a.) per seguire, anche attraverso attività embedded, l’evoluzione delle capacità connesse alla gestione delle funzioni operative fondamentali ,nell’abito delle unità ad essi assegnate. Nei sei lunghi mesi di lavoro si è avuto modo di notare come gli elementi dottrinali, tecnologici e logistici avessero la necessità di essere fusi con una approfondita conoscenza delle dinamiche psicologiche proprie del personale operante nell’esercito afghano, una forza armata che di fatto rappresenta in maniera compiuta il melting pot di un popolo che progressivamente sta acquisendo la consapevolezza di se e con questo anche la consapevolezza delle proprie istituzioni. Non sono lontanissimi i tempi dell’operazione di mentoring (OMLT) e quindi di addestramento in cui i team forniti dai paesi della coalizione svolgevano attività tradizionale di training, ma oggi non è più così l’ANA è in grado di camminare sulle proprie gambe, e pertanto non occorre più che qualcuno sostenga i loro passi, occorre che li si indirizzi sulle modalità per poter correre. Durante il semestre ottobre 2012-aprile2013, sono state pianificate e portate a termine diverse operazioni tra la Provincia di Farah e di Bala Boluk, gli afghani sono divenuti battle space owners (responsabili dell’area di operazione n.d.a) hanno implementato i loro enablers e sono in condizione di richiedere alle coalition forces unicamente i supporti necessari a dare compiutezza alle loro attività, resta atteso che concluso il processo di transizione occorre che si perfezionino le competenze tecnico tattiche, ma progressivamente si va delineando un retroterra, tatticamente ed operativamente, valido proprio grazie a quanto svolto dai team di mentorizzazione prima e di advisors oggi. Entrando nella dinamica dell’esperienza umana, si è avuto modo di notare come l’approccio ai partners afghani sia stato complesso in quanto ha visto la necessità di porre in essere due fasi, la prima finalizzata a superare le barriere connesse ai concetti di spazio e tempo tipicamente asiatici, la seconda è stata connessa al reciproco riconoscimento in modo che il personale ANA vedesse nei membri della coalizione persone su cui porre fiducia e rispetto. Per quanto attiene all’aspetto dello spazio e del tempo è bene sottolineare come, il mondo afghano e quindi anche le sue forze armate siano ovviamente, intrisi di quegli usi e quei costumi proprio della cultura centro-asiatica. L’amicizia e la stima vedono un progressivo accorciamento degli spazi nei rapporti interpersonali rendendo l’abbraccio ed il contatto tra uomini simbolo di accettazione e di rispetto, non deve pertanto far stupore ad un osservatore occidentale il fatto che due amici fraterni si tengano per mano anche se in uniforme, anche nell’ambito della realtà militare di una FOB (Forward operative base n.d.a.). Il progressivo accorciamento delle distanze fisiche e interpersonali è accompagnato di frequente da una dilatazione del tempo che talvolta ha dell’inconcepibile per chi proviene da una forza armata occidentale. Va evidenziato come la giornata afghana sia connessa al ciclo solare segnato in modo immutabile dalle effemeridi, pertanto se la stagione invernale vede l’alba alle 0700 del mattino è pressoché inutile pianificare l’inizio di una operazione alle 0530, il complesso tattico comincerà a muovere esclusivamente con l’affacciarsi dei primi raggi di sole, lo stesso dicasi per la conclusione delle attività o la consumazione dei pasti, è verosimile che nel pieno di una operazione il personale di staff toglierà gli anfibi ed indosserà delle ciabatte, poiché il tempo del servizio è ultimato, così come una intera colonna in movimento potrebbe essere fermata in pieno deserto poiché il Comandante della stessa ha l’esigenza di consumare il pasto. Tutto ciò deve essere compreso ed accettato se si vuole conquistare la fiducia ed il rispetto di questi colleghi che peraltro hanno un senso della disciplina ed un rispetto della scala gerarchica che talvolta ha del religioso. In sintesi si può dire che prima di consigliare occorre osservare ed apprendere, peraltro qualora l’advisor tentasse di forzare i tempi troverebbe davanti a se un muro invalicabile di indifferenza, che lo condurrebbe naturalmente a più miti consigli. Terra dura il sud dell’Afghanistan, polvere e vento sono nell’ordine delle cose, ciò ha portato chi scrive a ritenere che le popolazioni di questi luoghi abbiano acquisito durezza e diffidenza anche a causa dell’ambiente certamente non facile, in cui vengono trascorse le giornate e una intera vita. Connesso alla durezza dell’ambiente circostante è anche il comportamento dei militari dell’ANA, giovanissimi, provenienti da ogni parte dell’Afghanistan, che per senso di rispetto e disciplina affrontano quotidianamente i rischi di una professione difficile e estremamente rischiosa. Una volta superata lo step della comprensione, l’advisor ha davanti a se un altro ostacolo che è quello di farsi riconoscere quale valido supporto dal proprio partner, dall’individuo con il quale trascorrerà, nel bene e nel male, sei mesi di lavoro e di vita. Il riconoscimento è connesso anch’esso a dinamiche che vedono, empatia, tensione emotiva e motivazione quali capisaldi su cui il personale afghano mostra grande sensibilità, sembra che sappiano leggere dentro il proprio interlocutore e una volta riconosciute le sue caratteristiche, ritenendo si tratti di persona su cui possano riporre fiducia, costruiscono un rapporto professionale ed interpersonale che dà frutti eccellenti. Sarebbe inutile entrare in ulteriori dettagli, le parole non riuscirebbero a condensare l’intensità di una esperienza che è sfociata nell’amicizia oltre che nella professione; una cosa è certa la realtà operativa dell’Afghanistan, più che in altri teatri, può essere compresa appieno unicamente riempiendosi le narici dell’odore forte della sabbia e del the verde, gli occhi di un mondo tanto distante dal nostro, l’anima della cooperazione e della condivisione talvolta fraterna che nasce con nuovi colleghi a cui si ritiene di avere dato, ma dai quali in realtà si è ottenuto molto di più, in un clima degno di rispetto in quanto colmo di tutti quei valori che sono propri dell’essenza di soldati che ognuno vestendo le stellette porta dentro di se

lunedì 10 giugno 2013

Nonno

Sono le 8.20 di mattina del 10 giugno, Grazia riposa, Teresa prepara la colazione ed io sono qui intontito, incapace di rendermi conto anche di dove sono, oggi cambia l'ennesimo pezzo della mia vita, nonno Salvatore non c'è più, sembra impossibile, è quasi assurdo, ma nonno non c'è più. Per 32 anni la sua presenza è stata costante nelle mie giornate, non è stato un semplice nonno, è stato di più. Pochi bimbi in tenerissima etá appellano il nonno, la mamma, il papá è ovvio, ma per me ci fu anche il mio "mommo." Mi ha amato incondizionatamente e la memoria mi terrá sempre legato a lui. Ricordo ancora il sabato sera quando rimanevo a casa sua, i pomeriggi d'estate con il pisolino pomeridiano, mentre mi grattava sulla testa per farmi dormire. Quante volte mi ha portato all'aeroporto Gino Lisa, parcheggiava la macchina nell'hangar dismesso ed andavamo a raccogliere i fichi su un grande albero, che forse adesso non c'è più. D'estate la Sicilia, una turma di bimbi che scalzi tornavano dal mare, così ci rafforzavamo i piedi, diceva lui, ed io ero il più fifone, avevo paura della sabbia, avevo paura di nuotare nell'acqua alta e se cadevo dalla bici erano lacrimoni. Ci fu l'anno della varicella, ma lo ricordo a stento, il suo ammazza mosche sempre in mano, i pantaloncini da tennis ed il cartone per sventolarsi e sventolarmi nelle giornate torride, ma più di tutto il mio ricordo torna alla sua fisarmonica, credo che gliel'abbiano regalata per la pensione, la suonava per tutti, ma sono sicuro, soprattutto per me, lo ha fatto l'ultima volta in gennaio, quando tornai per la licenza dall'Afghanistan, aveva le ossa di carta velina, ed io forse nel mio cuore sapevo che sarebbe stata l'ultima volta che lo avrebbe fatto. Suona nel mio cuore la sua fisarmonica, suona nel mio cuore la sua voce e le ripetizioni di matematica, sì perché nonno era un campione in matematica, pur non essendo giunto al diploma per cause familiari, era bravo e mai potrò cancellare il suo: "questa povera terra cos'è 4/3 pi greco r3." Le sue favole, sempre le stesse, ci incantavano tutti, grandi e piccoli, e le storie di quando era bambino, le pecore nella classe alle elementari e la sua fame di frutta, quanta ne mangiava, sembrava volesse recuperare il digiuno patito da da piccolo, era sempre pronto a sbucciare un'arancia, per poi spiegarmi anche come la dovessi masticare e se fosse stata aspra andava bene lo stesso, perché era un agrume e come tale doveva essere acre, diceva lui. A me le arance "sanguinelle" non piacevano, ma lui le sbucciava con tanto piacere, che a fatica le tiravo giù, quasi fossero medicine. Le passeggiate nei giardini di aranci in aprile, dal suo amico Nino, il Cavaliere, di quale cavalleria non è dato saperlo, i funghi fatti in aeroporto e regalati a mezzo mondo, le settimane bianche, le terme a Cervia quando raccoglievamo i pinoli nel parco naturale, il suo volto ed il mio quando ci incontrammo al mio giuramento a Modena, da quel momento la nostra assidua frequentazione si interruppe ed il telefono, raro per mia colpa, intercalava le mie visite a Foggia. Non gli ho mai detto ti voglio bene, come non l'ho mai fatto con nessuno a cui ne voglio, ma la mia prima figlia si chiama come sua madre Grazia, era felice di questo, era pieno di gioia per questa piccolina arrivata dopo un periodo di sconvolgimento famigliare per me e di salute per lui. Non l'ho visto nei suoi ultimi momenti, forse non sono stato quel nipote che avrebbe voluto, ma gli voglio un bene che non si spiega e da oggi nel mio cuore un pezzo di gioia é andato via per sempre lasciando il posto alla matura consapevolezza che le gioie vanno raccolte negli immensi istanti in cui giungono tra le nostre braccia. Nonno ti dico solo questo, Nonno, niente saluti, niente addii perché tu sei e sarai sempre qui con me. Sta mattina una riflessione ed una speranza mi hanno accompagnato mentre scrivevo, che la sua mamma, il suo papá ed i suoi fratelli, assieme a Padre Pio ed a Giovanni Paolo II, stiano ad accoglierlo per portarlo al cospetto del buon Dio.

martedì 26 marzo 2013

La resa dei conti è cominciata

Come in tutti i delitti occorre la pistola fumante o il coltello insanguinato per avere la prova certa che si sia consumato il reato. Tutte le casseforti necessitano di una combinazione o di una chiave per essere aperte, ecco allora che Cipro é la pistola fumante ed il pass partout necessario all Eurogruppo ed al FMI, per aggirare definitivamente la linea Maginot del credito privato, l'inviolabilitá della cosa altrui, dei soldi e quindi del lavoro di ogni cittadino. Ci hanno messo tempo per trovare la strada giusta, hanno prima violentato la verde Irlanda, ma i cugini inglesi l'hanno salvata garantendo con la Sterlina "l'ignoranza" del fatto che gli euro non li puoi stampare in casa, hanno poi blandito e massacrato il Portogallo, firmando nella capitale Lisbona la sua condanna a morte ( Trattato di Lisbona nda), hanno terrorizzato l'Italia con un indicatore economico aleatorio ed insensato lo spread, disarticolato la Spagna facendole modificare la Costituzione ed in fine hanno annichilito ed umiliato la Grecia, insomma hanno creato i PIIGS, ma ció non é bastato, ció non é riuscito a far crollate il muro della dignitá economica. Eccola lì l'ancora di salvezza, il passaporto per il paradiso, la piccola isoletta di Cipro un paese con un Pil da 140 miliardi di euro all'anno, un isola felice per gli investitori russi che galleggia su un mare di gas, peccato che sia stata per un millennio sotto lo schiaffo ottomano e di quel mondo abbia preso il modo, peraltro tutto mediterraneo, disincantato e leggero di affrontare la vita, i problemi la storia. Hanno bisogno di aiuto i ciprioti, anzi ha bisogno di aiuto il loro Governo, 10 miliardi, per starci dentro ed ecco in arrivo lo strozzino, il FMI, con i suoi riscossori l'Eurogruppo, l'UE, prima li hanno accarezzati, poi minacciati ed alla fine condizionati e convinti. Un'altra occasione é stata perduta, quello che sarebbe potuto essere il primo tassello di un domino della salvezza si é tramutato nella strada spianata affinché i boia potessero vantare un precedente, "Il precedente". Togliete i soldi dalle banche finché siete in tempo, acquistate case, oro, argento o diamanti e metteteli al sicuro (in casa), il tempo della resa dei conti è vicino e non ce ne sará per nessuno, la Troika ha da sparare gli ultimi decisivi colpi per annientare definitivamente l'Europa dei popoli, per concludere l'omologazione al ribasso dello stile di vita per milioni di persone, non molleranno e purtroppo vinceranno, a meno che...

mercoledì 13 marzo 2013

Benvenuto Francesco I

Con oltre duemila anni di storia sulle proprie spalle la Chiesa Cattolica di Gesù Cristo Figlio di Dio riesce ancora a stupire il mondo. Il nuovo Papa, Francesco, saluta la Diocesi di Roma ed il Mondo intero con un discorso che nella sua semplicità ed umiltà ha un valore quanto mai ecumenico ed inclusivo. Francesco vuole essere il Vescovo di Roma e dei romani, si fa piccolo nel suo popolo, lasciando ad intendere che siamo tutti fratelli in Cristo, siamo tutti uguali agli occhi di Dio nostro Padre. Fratellanza, empatia ed inclusione vengono poi suggellate dalle preghiera, quella che tutti noi abbiamo fatto da bambini, il Padre Nostro, l’Ave Maria, il Gloria, ancora un modo semplice ed efficace per stringere il Mondo intero in un unico abbraccio, quasi che questi tre inni alla nostra fede siano in grado di sciogliere le barriere di odio e conflitto aprendo i cuori dei più. Viene dall’Argentina Francesco, una terra sfruttata, martoriata e vilipesa nella sua dignità di Nazione, con una storia che nel recente passato l’ha vista per l’ennesima volta consumata quanto e forse peggio che ai tempi delle miniere che le segnarono il nome. È un gesuita Francesco, fa parte di quella Compagnia di Gesù che per centinaia di anni ha lottato anche con la spada per difendere la Santa Chiesa di Cristo e poi il nuovo Papa è Francesco, un nome santo che come quella triade di preghiere recitata al mondo e con il mondo ci unisce tutti, sì perché al Santo Poverello nessuno sa dire di no, al Santo con le stimmate che parlava alla natura e che di Gesù riprese tutto non si può negare una lacrima ed un sorriso. Un ultimo pensiero a quella Benedizione che il Popolo non può dare, ma che come segno di rottura Papa Francesco avrebbe voluto ricevere, una richiesta quella di pregare il Signore perché lo benedicesse è in fondo la richiesta di un uomo, di un Cristiano come tutti, che lo Spirito Santo ha voluto al di sopra di tutti. Sappiamo che non potevi chiederla questa benedizione Francesco, il protocollo non te lo consentiva, ma il tuo popolo, queste pecorelle te l’hanno data lo stesso ed oggi forse si sentono un po’ meno smarrite. Sintesi tra tradizione e cambiamento, sintesi tra le due più profonde anime della Chiesa, ecco cos’è il nuovo Papa, un gesuita di nome Francesco, un uomo che con la Croce e con la spada saprà portare avanti il lavoro dei suoi predecessori per l’unità e la Pace di tutti gli Uomini di Buona Volontà.

domenica 3 marzo 2013

Coloro che non hanno lasciato un solco

Ci sono persone hanno vissuto momenti topici nella storia dell’umanità, sono stati coinvolti in situazioni definite dalla cronaca epocali, hanno visto le proprie forze impegnate in attività che il resto del mondo non avrebbe mai fatto e comunque non sono riusciti a lasciare il segno, a tracciare un solco. L’inabilità di farsi amplificatori di se stessi nel mondo purtroppo coinvolge la maggior parte delle grandi persone, la maggioranza di quegli eroi per caso che costellano gli umani eventi. La super-mediatizzazione è riuscita poi a metterci il suo carico da novanta nel generare questi fantasmi, li ricordiamo come quelli del Carso, quelli di Cefalonia, di Nassirya, delle Foibe o delle fosse Ardeatine, non un nome, non un volto, eccoli, sono proprio questi i disperati che non hanno lasciato un solco, sì perché la generalizzazione del quelli di… Comprime il sentimento, fa scomparire il ricordo in un oblio di massa, la stessa massa che cancella idee ed ideali. Sicuramente questi scomparsi della storia avevano un nome , dei sogni, dei progetti da condurre, una famiglia ad aspettarli, delle mamme e delle mogli in ansia, dei figli che non potranno più abbracciare, insomma un mondo nel mondo che assieme a loro cadde e cade in un imbarazzante oblio. Ultima istituzione a cercare di mantenere vivo il ricordo degli scomparsi era quella militare con i suoi onori ai caduti, le sue cerimonie solenni in ricordo di eventi e battaglie, ma tutto questo oggi tende progressivamente a scomparire, persino il mondo militare, legato alle proprie tradizioni, votato a perpetuarle, con lo scopo di mantenere vivi concetti e valori come Onore, Orgoglio, Esempio e Cameratismo si sta sgretolando di fronte alla burocratizzazione, all’appiattimento del tutti uguali, tanto simile a quel tutti a casa che segnò “La morte della Patria” (cit.) Si dovrebbe concludere ogni ragionamento con un che fare, ma in questa circostanza il rimando alla coscienza di ognuno è un rigoroso dovere. Potremmo prendere degli spunti, uno tra tutti Paolo Caccia Dominioni, un uomo di valore, un combattente di cento battaglie che seppe dedicare l’ultima parte della sua vita agli scomparsi, andò di persona a cercarli nel deserto tra Libia ed Egitto, ne ricompose, per quanto possibile, le spoglie e tentò di ridare a quelle quattro ossa un nome ed un volto, una dignità, un “solco”. Non riusciremo in cotanta opera, pietosa ed eroica, almeno quanto le battaglie d’Africa Settentrionale, ma almeno tentiamo nel nostro ambito, di non rimuovere rivolgendo un pensiero. Il ricordo del passato eroico è una luce di speranza sul futuro, chissà che in quegli uomini senza volto e senza nome non si riesca a trovare la forza ed il coraggio di ricominciare.