mercoledì 21 ottobre 2009

Il valore del lavoro

Il dibattito è ormai acceso ed imperante: "Il lavoro è un valore o meno?" La domanda appare sciocca anche perchè il problema ha una valenza meramente mediatica, nessuno è realmente intenzionato all'approfondimento, pertanto se ne discuterà per due settimane al massimo e poi di nuovo l'oblio, ma siccome cavalcare l'onda della notizia ed esprimere qualche opinione non è mai un male, eccoci qui. Facendo un po' i qualunquisti potremmo osservare come, nel sentimento proprio di chi un lavoro lo ha esso non è esattamente percepito come un valore, d'altronde chi non ha mai sentito la frase " Io lavoro per vivere, non vivo per lavorare" o metafore simili che sottolineano come il lavoro, meridionalmente definito " a fatic' " non sia esattamente qualcosa a cui anelare, bensì solo un onere da accollarsi per garantirsi il benessere futuro, ma se il lavoro non è l'oggetto del desiderio cosa altro interessa l'uomo comune, sicuramente i frutti del lavoro, quel guadagno materiale, tanto disdegnato da molti, ma senza il quale lo spirito non può fornire i suoi anelati frutti, insomma la si dica tutta, se non si magna non si pensa, non ci si muove, non si prega, non si fa l'amore e tutto il resto, in questi modo torniamo all'assunto popolare per cui si lavora per vivere. La scelta di cominciare il discorso con una digressione fatta di luoghi comuni vuole consentire di percepire il problema per quello che realmente è, un problema culturale, e non politico o ideologico, un problema culutrale che divide perchè in questa circostanza i sostenitori del lavoro come valore sono proprio quelli che un lavoro non ce l'hanno e spesso nemmeno lo cercano, chi ritiene il lavoro un valore, " a fatic' " la aspetta dall'alto, come una manna biblica, della quale peraltro il consumo deve assolutamente essere contenuto altrimenti si fa un torto al Boss che questa manna la deve distribuire un po' a tutti, soprattutto la deve distribuire in modo equo, affinchè nessuno si strozzi, affinchè insomma nessuno si ammazzi di fatica. Dall'altra parte di questa ideale palizzata vi è poi chi il lavoro lo disprezza, perchè ne percepisce le difficoltà ed al contrempo l'utilità, come si trattasse di una amara medicina, che fa tanto bene, ma anche tanto schifo, chi di cose da fare oltre a lavorare ne avrebbe tante, chi ama i saperi in quanto tali, chi ama l'arte, il bello ed il buono della vita, ebbene sì, questi soggetti il lavoro lo cercano con determinazione, con caparbietà e loro malgrado lo trovano, ma non lo considerano un valore, lo considerano uno sturmento per la creazione di valori e questo fa la differenza, in quanto svilisce il protagonista del nostro discorso e lo rende abbordabile. Da che parte stare? Ognuno come sempre sta dalla parte che gli conviene di più, anche se vorrei fornire degli spunti di riflessione utili a fare una scela ponderata. La costituzione americana esordisce con " We the people"...et cetera..." promote the general welfare and secure the blessing of liberty" et cetera. La costituzione francese esordisce invece con "Il popolo francese proclama solennemente la sua fedeltà ai diritti dell'uomo ed ai principi della sovranità nazionale così come sono stati definiti dalla dichiarazione del 1789"...et cetera. Quella tedesca esordisce con "La dignità dell'uomo è intangibile"...et cetera. Insomma in nessun preambolo di quelli letti si parla di lavoro come valore fondativo dello Stato, nella nostra Italia invece? Tutti conoscete l'articolo 1 della nostra costituzione. In conclusione aggiungo un ulteriore elemento, un esordio costituzionale che non farà sentire soli tutti gli italiani " Russia is declared to be a republic of the Soviets of Workers', Soldiers', and Peasants' Deputies all the central and local power belongs to these soviets"... che vergogna!

2 commenti:

  1. La questione è ben diversa, tutti sappiamo cosa va e cosa non va, il problema diventa poi personale. La questione è questa: Aiutiamo la nostra terra scappando da Lei e disprezzandola? O avendo buone idee e ottimi progetti dovremmo essere lì a difenderLa a spada tratta? A lottare per fare in modo che la mentalità troglodita del chi meno fa è più bravo e più furbo? Aiutare e aiutarci per fare in modo che si evolva in qualcosa definibile nella sfera del sociale?
    Io non ho le risposte e le soluzioni a ciò, anche perché sono il fratello non proprio intelligente di Prometeo...uno che riflette a fatti avvenuti..uno che non prevede ne presume...
    Il lavoro non è sempre stato evitato e ritenuto un qualcosa di appestante, un qualcosa da evitare. D'altronde al sud e non solo, il lavoro è appellato come “fatica” o “travagghiu”, quest’ultimo molto vicino al travaglio della puerpera che dopo un grande dolore gode di una grande gioia, anche perché non dimentichiamo che l’etimologia della parola lavoro dal latino labor è proprio questa tanto demonizzata “fatica”.
    Evitiamo soprattutto di cadere nell’errore di appellare questo lavoro come qualcosa che ci possa redimere, gli ultimi che hanno usato questa forzatura avevano scritto "Arbeit macht frei" che forse non era l’insegna di un villaggio Valtur…cerchiamo soltanto di ricavare soddisfazione e orgoglio da quello che facciamo, sia pure il più umile dei lavori, l’importante che ci faccia tenere sempre la testa alta.

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  2. caro epimeteo,
    non discuto ciò che scrivi e peraltro lo condivido in pieno, con le mie poche righe volevo solo sottolineare l'assurdità di un circolo vizioso che ormai da troppo tempo si è ncardinato nelle menti dei nostri concittadini e dal quale è necessario uscire affinchè la società italiana possa avere un nuovo boom ...
    Ad maiora

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