martedì 11 giugno 2013

Shoulder by shoulder

E’ sempre difficile fare un consuntivo, soprattutto quando la sintesi è riferita ad un periodo intenso di lavoro e di vita. Sì le operazioni fuori dal territorio nazionale sono proprio questo, periodi di grande impegno professionale, ma nel contempo pezzi di vita in cui tutto, giorno per giorno, appare uguale, ma in realtà chi vi partecipa cambia profondamente se stesso. L’esperienza occorsa in Afghanistan, nell’ambito del contingente MATII ha visto amplificata la condizione di militare in operazione fuori dal territorio della Patria per le sue peculiarità essenzialmente differenti dalla altre attività operative. Shoulder by shoulder il lavoro con i partners dell’ANA (Afghan Nationale Army) vive una fase che è ormai andata oltre l’addestramento per confluire nell’Advising, un concetto che trova una traduzione complessa in lingua italiana, ma la cui comprensione è stata fondamentale affinché il lavoro svolto nel paese centro asiatico potesse essere proficuo ed efficacia. Quanto riportato in queste poche righe è l’esperienza dello scrivente al servizio del contingente MAT II presso la FOB ANA di Camp Sayar, nella località di Kafir Quala, a pochi kilometri dall’abitato di Farah, grande centro urbano, capoluogo della omonima provincia e posto quale crocevia tra l’Iran e la provincia afghana dell’Elmand. All’interno di una ampia base, sede della II Brigata ANA, vi era una porzione di compound circondato da hescobastions e concertina in cui gli advisors di Esercito e Marina provvedevano alla condotta di attività finalizzate a portare i partners afghani verso la totale autonomia in termini di concezione, pianificazione e condotta delle attività operative. Gli advisors, suddvisi per team hanno operato accanto agli staff del comando Brigata e di tre Kandak (unità di livello battaglione n.d.a.) per seguire, anche attraverso attività embedded, l’evoluzione delle capacità connesse alla gestione delle funzioni operative fondamentali ,nell’abito delle unità ad essi assegnate. Nei sei lunghi mesi di lavoro si è avuto modo di notare come gli elementi dottrinali, tecnologici e logistici avessero la necessità di essere fusi con una approfondita conoscenza delle dinamiche psicologiche proprie del personale operante nell’esercito afghano, una forza armata che di fatto rappresenta in maniera compiuta il melting pot di un popolo che progressivamente sta acquisendo la consapevolezza di se e con questo anche la consapevolezza delle proprie istituzioni. Non sono lontanissimi i tempi dell’operazione di mentoring (OMLT) e quindi di addestramento in cui i team forniti dai paesi della coalizione svolgevano attività tradizionale di training, ma oggi non è più così l’ANA è in grado di camminare sulle proprie gambe, e pertanto non occorre più che qualcuno sostenga i loro passi, occorre che li si indirizzi sulle modalità per poter correre. Durante il semestre ottobre 2012-aprile2013, sono state pianificate e portate a termine diverse operazioni tra la Provincia di Farah e di Bala Boluk, gli afghani sono divenuti battle space owners (responsabili dell’area di operazione n.d.a) hanno implementato i loro enablers e sono in condizione di richiedere alle coalition forces unicamente i supporti necessari a dare compiutezza alle loro attività, resta atteso che concluso il processo di transizione occorre che si perfezionino le competenze tecnico tattiche, ma progressivamente si va delineando un retroterra, tatticamente ed operativamente, valido proprio grazie a quanto svolto dai team di mentorizzazione prima e di advisors oggi. Entrando nella dinamica dell’esperienza umana, si è avuto modo di notare come l’approccio ai partners afghani sia stato complesso in quanto ha visto la necessità di porre in essere due fasi, la prima finalizzata a superare le barriere connesse ai concetti di spazio e tempo tipicamente asiatici, la seconda è stata connessa al reciproco riconoscimento in modo che il personale ANA vedesse nei membri della coalizione persone su cui porre fiducia e rispetto. Per quanto attiene all’aspetto dello spazio e del tempo è bene sottolineare come, il mondo afghano e quindi anche le sue forze armate siano ovviamente, intrisi di quegli usi e quei costumi proprio della cultura centro-asiatica. L’amicizia e la stima vedono un progressivo accorciamento degli spazi nei rapporti interpersonali rendendo l’abbraccio ed il contatto tra uomini simbolo di accettazione e di rispetto, non deve pertanto far stupore ad un osservatore occidentale il fatto che due amici fraterni si tengano per mano anche se in uniforme, anche nell’ambito della realtà militare di una FOB (Forward operative base n.d.a.). Il progressivo accorciamento delle distanze fisiche e interpersonali è accompagnato di frequente da una dilatazione del tempo che talvolta ha dell’inconcepibile per chi proviene da una forza armata occidentale. Va evidenziato come la giornata afghana sia connessa al ciclo solare segnato in modo immutabile dalle effemeridi, pertanto se la stagione invernale vede l’alba alle 0700 del mattino è pressoché inutile pianificare l’inizio di una operazione alle 0530, il complesso tattico comincerà a muovere esclusivamente con l’affacciarsi dei primi raggi di sole, lo stesso dicasi per la conclusione delle attività o la consumazione dei pasti, è verosimile che nel pieno di una operazione il personale di staff toglierà gli anfibi ed indosserà delle ciabatte, poiché il tempo del servizio è ultimato, così come una intera colonna in movimento potrebbe essere fermata in pieno deserto poiché il Comandante della stessa ha l’esigenza di consumare il pasto. Tutto ciò deve essere compreso ed accettato se si vuole conquistare la fiducia ed il rispetto di questi colleghi che peraltro hanno un senso della disciplina ed un rispetto della scala gerarchica che talvolta ha del religioso. In sintesi si può dire che prima di consigliare occorre osservare ed apprendere, peraltro qualora l’advisor tentasse di forzare i tempi troverebbe davanti a se un muro invalicabile di indifferenza, che lo condurrebbe naturalmente a più miti consigli. Terra dura il sud dell’Afghanistan, polvere e vento sono nell’ordine delle cose, ciò ha portato chi scrive a ritenere che le popolazioni di questi luoghi abbiano acquisito durezza e diffidenza anche a causa dell’ambiente certamente non facile, in cui vengono trascorse le giornate e una intera vita. Connesso alla durezza dell’ambiente circostante è anche il comportamento dei militari dell’ANA, giovanissimi, provenienti da ogni parte dell’Afghanistan, che per senso di rispetto e disciplina affrontano quotidianamente i rischi di una professione difficile e estremamente rischiosa. Una volta superata lo step della comprensione, l’advisor ha davanti a se un altro ostacolo che è quello di farsi riconoscere quale valido supporto dal proprio partner, dall’individuo con il quale trascorrerà, nel bene e nel male, sei mesi di lavoro e di vita. Il riconoscimento è connesso anch’esso a dinamiche che vedono, empatia, tensione emotiva e motivazione quali capisaldi su cui il personale afghano mostra grande sensibilità, sembra che sappiano leggere dentro il proprio interlocutore e una volta riconosciute le sue caratteristiche, ritenendo si tratti di persona su cui possano riporre fiducia, costruiscono un rapporto professionale ed interpersonale che dà frutti eccellenti. Sarebbe inutile entrare in ulteriori dettagli, le parole non riuscirebbero a condensare l’intensità di una esperienza che è sfociata nell’amicizia oltre che nella professione; una cosa è certa la realtà operativa dell’Afghanistan, più che in altri teatri, può essere compresa appieno unicamente riempiendosi le narici dell’odore forte della sabbia e del the verde, gli occhi di un mondo tanto distante dal nostro, l’anima della cooperazione e della condivisione talvolta fraterna che nasce con nuovi colleghi a cui si ritiene di avere dato, ma dai quali in realtà si è ottenuto molto di più, in un clima degno di rispetto in quanto colmo di tutti quei valori che sono propri dell’essenza di soldati che ognuno vestendo le stellette porta dentro di se

lunedì 10 giugno 2013

Nonno

Sono le 8.20 di mattina del 10 giugno, Grazia riposa, Teresa prepara la colazione ed io sono qui intontito, incapace di rendermi conto anche di dove sono, oggi cambia l'ennesimo pezzo della mia vita, nonno Salvatore non c'è più, sembra impossibile, è quasi assurdo, ma nonno non c'è più. Per 32 anni la sua presenza è stata costante nelle mie giornate, non è stato un semplice nonno, è stato di più. Pochi bimbi in tenerissima etá appellano il nonno, la mamma, il papá è ovvio, ma per me ci fu anche il mio "mommo." Mi ha amato incondizionatamente e la memoria mi terrá sempre legato a lui. Ricordo ancora il sabato sera quando rimanevo a casa sua, i pomeriggi d'estate con il pisolino pomeridiano, mentre mi grattava sulla testa per farmi dormire. Quante volte mi ha portato all'aeroporto Gino Lisa, parcheggiava la macchina nell'hangar dismesso ed andavamo a raccogliere i fichi su un grande albero, che forse adesso non c'è più. D'estate la Sicilia, una turma di bimbi che scalzi tornavano dal mare, così ci rafforzavamo i piedi, diceva lui, ed io ero il più fifone, avevo paura della sabbia, avevo paura di nuotare nell'acqua alta e se cadevo dalla bici erano lacrimoni. Ci fu l'anno della varicella, ma lo ricordo a stento, il suo ammazza mosche sempre in mano, i pantaloncini da tennis ed il cartone per sventolarsi e sventolarmi nelle giornate torride, ma più di tutto il mio ricordo torna alla sua fisarmonica, credo che gliel'abbiano regalata per la pensione, la suonava per tutti, ma sono sicuro, soprattutto per me, lo ha fatto l'ultima volta in gennaio, quando tornai per la licenza dall'Afghanistan, aveva le ossa di carta velina, ed io forse nel mio cuore sapevo che sarebbe stata l'ultima volta che lo avrebbe fatto. Suona nel mio cuore la sua fisarmonica, suona nel mio cuore la sua voce e le ripetizioni di matematica, sì perché nonno era un campione in matematica, pur non essendo giunto al diploma per cause familiari, era bravo e mai potrò cancellare il suo: "questa povera terra cos'è 4/3 pi greco r3." Le sue favole, sempre le stesse, ci incantavano tutti, grandi e piccoli, e le storie di quando era bambino, le pecore nella classe alle elementari e la sua fame di frutta, quanta ne mangiava, sembrava volesse recuperare il digiuno patito da da piccolo, era sempre pronto a sbucciare un'arancia, per poi spiegarmi anche come la dovessi masticare e se fosse stata aspra andava bene lo stesso, perché era un agrume e come tale doveva essere acre, diceva lui. A me le arance "sanguinelle" non piacevano, ma lui le sbucciava con tanto piacere, che a fatica le tiravo giù, quasi fossero medicine. Le passeggiate nei giardini di aranci in aprile, dal suo amico Nino, il Cavaliere, di quale cavalleria non è dato saperlo, i funghi fatti in aeroporto e regalati a mezzo mondo, le settimane bianche, le terme a Cervia quando raccoglievamo i pinoli nel parco naturale, il suo volto ed il mio quando ci incontrammo al mio giuramento a Modena, da quel momento la nostra assidua frequentazione si interruppe ed il telefono, raro per mia colpa, intercalava le mie visite a Foggia. Non gli ho mai detto ti voglio bene, come non l'ho mai fatto con nessuno a cui ne voglio, ma la mia prima figlia si chiama come sua madre Grazia, era felice di questo, era pieno di gioia per questa piccolina arrivata dopo un periodo di sconvolgimento famigliare per me e di salute per lui. Non l'ho visto nei suoi ultimi momenti, forse non sono stato quel nipote che avrebbe voluto, ma gli voglio un bene che non si spiega e da oggi nel mio cuore un pezzo di gioia é andato via per sempre lasciando il posto alla matura consapevolezza che le gioie vanno raccolte negli immensi istanti in cui giungono tra le nostre braccia. Nonno ti dico solo questo, Nonno, niente saluti, niente addii perché tu sei e sarai sempre qui con me. Sta mattina una riflessione ed una speranza mi hanno accompagnato mentre scrivevo, che la sua mamma, il suo papá ed i suoi fratelli, assieme a Padre Pio ed a Giovanni Paolo II, stiano ad accoglierlo per portarlo al cospetto del buon Dio.