venerdì 7 marzo 2014

Considerazioni sulla crisi di Crimea

Come sempre é la cronaca ad incalzare l'analisi e la pianificazione. L'incipit di questo momento riflessivo nasce dalla consapevolezza del fatto che il quotidiano sia vero e forse unico motore del cambiamento e dell'innovazione. Quanto sta accadendo in Crimea nelle ultime ore ha ravvivato un dibattito ritenuto ormai sopito o peggio ancora anacronistico circa l'opportunità o meno di dotare gli Stati degli strumenti idonei a fronteggiare una minaccia certa e simmetrica. In verità nessun organo di informazione riporta tale dibattito, tuttavia tra le nebbie dei comunicati rilanciati nelle sedi diplomatiche e non si può decifrare la sempre maggiore volontà di tutelare i rispettivi interessi attraverso la minaccia o la concreta possibilità di un utilizzo della forza militare. I fatti internazionali dell'ora contemporanea pare risveglino esigenze e volontà sempre vive di nazioni come la Russia, in realtà un minimo di memoria ci mostra come già gli eventi occorsi in Georgia nel 2008 e la conseguente 'querelle' su Ossezia e Abkazia suscitarono le medesime reazioni, peraltro già all'epoca la dimensione conflittuale ed il relativo accumulo di tensione poterono ricondursi in parte al solito progetto USA di "scudo antimissile" da schierare in Polonia (oppure in una Ucraina opportunamente ricondotta sotto controllo occidentale). Sembra fuori dal mondo questo continuo tira e molla, soprattutto a quasi trent'anni dalla fine della contrapposizione est-ovest, in realtà è proprio la volontà statunitense di garantirsi la chance del "primo colpo" contro l'unico competitore nucleare ancora credibile, a generare con cadenza periodica crisi similari tra loro perché accomunate dal medesimo fine e quindi dagli stessi obiettivi. Scenari da nuova guerra fredda si potrebbe ipotizzare, niente affatto, più probabilmente scarsa lungimiranza ed approssimazione nella gestione delle relazioni internazionali. Il crollo del gigante sovietico fu troppo repentino per essere indolore nei termini della stabilità globale, ne' si può ritenere che una intera classe dirigente abbia rinunciato a dinamiche politiche radicate nei secoli. Le briciole date dall'occidente alla Russia eltsiniana non sarebbero mai state in grado di placare la fame atavica di un popolo che si trova nello Stato con maggior estensione territoriale al mondo, peraltro seduto su uno dei maggiori giacimenti di gas naturale oggigiorno noto, a ciò va aggiunta una cognizione di potenza globale frustrata che da sempre attanaglia la classe dirigente russa schiacciata tra oriente e occidente. Queste righe potrebbero apparire una forzatura apologetica, in realtà, per quanto fino ad ora argomentato, la forzatura maggiore sembra quella compiuta da alcune cancellerie europee e dai soliti Stati Uniti. Pesanti errori di comunicazione si stanno consumando negli ultimi giorni, soprattutto nei confronti di Putin, dipinto come un dittatore privo di contatto con la realtà, individuo ambiguo diviso tra nazismo e stalinismo spinto, insomma é stata fatta una scelta chiara superare l'approccio diplomatico e forzare le regole del diritto internazionale. Tale scelta potrà apparire pagante nell'immediato, soprattutto nei confronti di un' opinione pubblica ignorante e narcotizzata, come quella occidentale, tuttavia produrrà i suoi effetti negativi nel medio e nel lungo periodo, cioè quando la verità storica emergerà in tutta la sua meschina dimensione. Le risposte della storia non potranno sottacere gli interessi di Varsavia nel recuperare i territori ucraini occidentali a maggioranza polacca, così da risolvere due problemi: piazzare i lanciatori USA fuori dal proprio territorio metropolitano e creare un cuscinetto efficace contro i russi, garantito dalla NATO. Nemmeno la Germania (locomotiva economica d'Europa?) potrà, all'esame della storia, negare di aver bisogno degli operai ucraini, avendo spremuto fino all'ultima goccia di sangue quelli di mezza europa, nonché del mercato vastissimo di Kiev economia emergente a cui sottrarre speranze ed ambizioni in nome di una austerità prossima futura. Per quanto attiene in fine gli USA nulla di nuovo all'orizzonte, dileggiano e spiano l'Europa, temono ancora, o forse sarebbe meglio dire nuovamente, la Russia e per questo intendono relegarla a potenza regionale asiatica, magari da sfruttare a piacimento per tenere impegnato il "drago" cinese in nome di vecchi rancori garantendosi così libertà di manovra per se in un Pacifico ancora tutto da sfruttare. In tutto questo cosa c'entra la Crimea? Per l'occidente é una penisola che un po' porta male, a rileggere la storia migliaia di morti hanno insanguinato quel lembo di terra, quanto ai russi é il mezzo per scoprire le carte di una partita giocata ipocritamente con Washington per il controllo dell'Europa in un rigurgito di Geopolitik e volontà di potenza, fantasmi di un passato che ritorna, ma che questo mondo ipnotizzato nega avviluppato com'è in un sistema caratterizzato da un nichilismo capace di narcotizzare prima gli animi e poi le menti.